La Storia della Lucania

Liberamente tratto da "BREVE STORIA DELLA BASILICATA di Palma Fuccella"

(ultimo aggiornamento : 01/02/2013 - last update 02/01/2013 )


L'Eta' Moderna

Miglionico (Mt) - Castello normanno detto  "del Malconsiglio"






Anche nella lotta tra Francia e Spagna per il dominio sul l'Italia, apertasi con la morte di Ferdinando d'Aragona nel 1504, la Basilicata subì i soliti violenti assalti e, ciò che è peggio, le ennesime spartizioni feudali. Con la consegna del Mezzogiorno all'imperatore Carlo V di Spagna, tutti i feudatari ribelli o ostili al nuovo corso furono privati dei loro privilegi, tra questi i Caracciolo; i feudi di Melfi, Candela, Forenza e Lagopesole andarono così ad Andrea Doria "in soddisfazione della rendita annua di 6.000 ducati" e in cambio dei servigi resi alla corona, nel momento di massima ricchezza e splendore del condottiero genovese e della sua città. Maggiore il colpo inferto ai Sanseverino, i cui numerosi feudi furono divisi fra le emergenti famiglie dei Carafa, Revertera, Pignatelli e Colonna. In questo contesto si inserisce la vicenda di Isabella Morra, poetessa di Valsinni, chiusa nella torre della fortezza in seguito alla fuga in Francia del padre che, per una sospetta relazione con il confinato Diego Sandoval De Castro, venne infine uccisa dagli stessi fratelli. I versi di Isabella rappresentano una delle testimonianze più toccanti nel panorama della poesia femminile del suo tempo e un anelito di libertà che getta una luce fosca su quel "rinascimento" italiano.
Con l'avvento della nuova classe dirigente, il cui centro di potere era altrove, così come altrove erano ormai spostati i mercati dell'economia europea, le cui forze si dispiegavano nel vasto spazio atlantico, più che nel Mediterraneo, la Basilicata "riinfeudata" veniva ormai trattata alla stregua di pura merce di scambio. Affidata alla giurisdizione di Salerno mentre Matera e la Murgia appartenevano alla Terra d'Otranto, ben poco interesse veniva dimostrato dai nuovi baroni al miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei feudi lucani, ciò che importava era solo la garanzia della rendita annuale.

Nel 1528, i lanzichenecchi di Lautrec, dopo il sacco di Roma non risparmiarono il Sud e in Basilicata colpirono in particolare Melfi arrecando terrore e distruzione. Ma se i mercati dei centri urbani riuscivano in qualche modo a garantire un certo vigore economico, le campagne rimanevano invece in una condizione di generale povertà poiché gran parte della produzione agricola era assorbita dall'autoconsumo delle famiglie e ben poco del prodotto si riusciva a destinare ai mercati esterni. Su questo retroterra di povertà il potere economico delle nuove famiglie feudali impietosamente si intrecciava con il potere ecclesiastico di modo che la morsa dello sfruttamento si stringeva ulteriormente. 
In questo senso esemplare fu l'ascesa dei Carafa (principi di Stigliano) che, primo fra tutti Oliviero, abate commendatario della Badia di Monticchio, furono i protagonisti di oltre due secoli di politica spagnola nel Regno, esprimendo un gran numero di prelati e baroni e finanche un papa, Paolo IV.
È in questa fase del Rinascimento che si crea un rigoglioso mercato dell'arte legato alle grandi famiglie baronali ed alla committenza religiosa. Opere di grande pregio saranno realizzate da Cima da Conegliano Simone da Firenze e da numerosi ed accreditati artisti locali fra cui Altobello Persio, Giovanni Todisco, il Pietrafesa, Antonio Stabile e, più avanti, Carlo Sellitto e Pietro Antonio Ferro; queste tele e pale d'altare rappresentano un patrimonio artistico prezioso per la Basilicata, un tesoro perlopiù inesplorato e sconosciuto. Nella seconda metà del XVI sec., negli anni del viceregno spagnolo, la Basilicata conobbe un periodo di relativa tranquillità.

Nella vita sociale e politica della regione, divisa tra vecchie e nuove famiglie baronali, si avvertivano i primi effetti dell'emergere di una nuova classe intermedia, perlopiù appartenente a grosse famiglie locali e costituita dai rappresentanti dei baroni, dei vescovi e degli abati impegnati, in loro assenza, nell'attività di amministrazione e gestione dei feudi. Contemporaneamente al formarsi di questo nuovo corpo sociale si avviava un processo di autonomia dei Comuni nei quali, secondo una complessa macchinazione legislativa, i cittadini potevano riscattare la propria città pagando allo Stato la somma altrimenti versata dal barone. In questo modo il Comune passava al Regio Demanio e, senza l'intermediazione del barone, tutte le terre comprese nell'agro divenivano di possesso comune e quindi "universali", motivo per cui i Comuni vennero all'epoca definiti Università.
Tale processo di emancipazione, infrequente in Basilicata, aveva trovato nell'esperienza di Saponara del 1405 un prezioso esempio. Qui, la strenua difesa opposta all'avanzata delle forze reali, convinse Ladislao a concedere al popolo un indulto ( firmato il 14 aprile), che garantiva un'esenzione fiscale e l'impegno del Re a non infeudare il Comune. Le città Regie in Basilicata furono pochissime e non sempre la loro conquista riusciva ad essere duratura, poiché il riscatto era molto costoso e comportava un immenso sacrificio economico da parte dei cittadini; fra queste, oltre a Saponara, è utile ricordare l'esperienza Regia di Matera, Lagonegro, Maratea, San Mauro e Rivello. Nel corso del XVI sec. erano ormai tanti i Comuni in cui si era accresciuta la coscienza politica autonomistica, sfociando in molti casi in rivolta contro gli abusi dei baroni. A Matera, ad esempio, i cittadini sfiniti dalle esose contribuzioni richieste dal nuovo signore assegnato dal Re, il banchiere napoletano Giancarlo Tramontano, nella notte di natale del 1514 gli tesero un agguato e lo uccisero, non consentendogli nemmeno di ultimare il suo imponente castello.

Sebbene l'attività dei Comuni fosse basata su una rinnovata coscienza civica e su un certo progresso di carattere economico, evidente nel caso di Matera e Venosa commercialmente ben collegate con i porti pugliesi, la situazione non migliorava invece per le campagne e le zone interne i cui prodotti, quando riuscivano a superare la soglia del consumo personale, erano nei mercati sottoposti ad una rigorosa stagnazione dei prezzi.
A questo si aggiungeva un sistema fiscale votato essenzialmente alle imposte indirette sui generi di consumo, quindi la farina, il vino, il formaggio, la carne continuavano ad essere fortemente tassati, producendo seri problemi ai contadini. Al contrario, per evitare conflittualità con i gruppi dirigenti non veniva per nulla adottata l'imposta diretta sui beni e i patrimoni, introdotta generalmente solo nel 1742 dal "Catasto Onciario" di Carlo III. Il peso insostenibile delle imposte creava nella base del popolo un malcontento diffuso e cominciavano a verificarsi le prime manifestazioni di quel movimento antifeudale che pochi decenni più avanti avrebbe animato, con la "rivolta di Masaniello", tutto il Mezzogiorno.
Nel quadro delle rivendicazioni antifeudali ed antispagnole della metà del XVII sec., le comunità cominciarono con più insistenza a rivendicare i diritti nei confronti dei baroni e dello strapotere ecclesiastico. In Basilicata l'assenza delle dirette autorità dello Stato (poiché sottoposta alla provincia di Salerno) e l'isolamento di molti centri abitati, favorirono l'organizzazione e il diffodersi della rivolta. La sollevazione fu generalizzata e coinvolse tutta la regione: a Potenza il principe Celano fu costretto a fuggire, mentre a Vaglio il principe Salazar, uno dei capi della rivolta fuoriuscito dal carcere napoletano, si pose alla testa dell'esercito rivoluzionario al fianco di Matteo Cristiano. L'offensiva fu determinata e nel gennaio del 1648 tutta la Basilicata aveva aderito alla Repubblica ed i poteri erano ufficialmente passati al nuovo "governatore delle armi" in rappresentanza del governo rivoluzionario di Napoli, Matteo Cristiano.
La controffensiva spagnola e baronale fu violenta ed implacabile; il sogno repubblicano durò ben poche settimane e nella primavera dello stesso 1648 i capi rivolta erano già stati passati alle armi e le popolazioni domate con grande spargimento di sangue. La crisi sociale, all'origine della rivolta repubblicana, si era ora ulteriormente aggravata, ma un risultato positivo il popolo lucano riuscì ad ottenerlo e fu la decisione del governo spagnolo di destinare una provincia autonoma per la Basilicata, probabilmente per migliorarne le funzioni di controllo, e la scelta cadde su Matera.
Da quel momento, era il 1663, finalmente la regione poteva contare su propri uffici amministrativi e sulla presenza del Tribunale della Regia Udienza, che avrebbe cambiato molte cose nel rapporto fra i baroni, le autorità della Chiesa e le comunità, ora non più sordamente soggette all'anarchia feudale ed ecclesiastica. Cominciò così a formarsi una classe dirigente di professionisti delle discipline giuridiche, impegnati perlopiù a difendere i diritti delle Università e del popolo, i cosiddetti "avvocati dei poveri". Matera era del resto la città più operosa del tempo, conservando ottime attività commerciali e continui contatti con i porti pugliesi; con una popolazione nel circondario di circa 60.000 abitanti Matera, molto vivace anche sul piano intellettuale, aveva dato i natali al poeta Tommaso Stigliani e, nel secolo dei lumi, all'insigne musicista Egidio Romualdo Duni che ebbe notorietà in tutti i teatri d'Europa.
Nel XVII sec. anche la stampa faceva il suo esordio in Basilicata, grazie al volume del vescovo Roberto Roberti, stampato a Tricarico nel 1613. Questi gli aspetti positivi del Seicento, un secolo per altri versi drammatico, segnato ancora da pestilenze e carestie e da un generale riflusso demografico; un secolo sanguinolento e crudele, in cui trionfava l'intolleranza della Chiesa, i suoi roghi, le sue persecuzioni. In fondo anche la "rivoluzione di Masaniello" si chiudeva per il Sud con uno scacco durissimo, provocando il generale sopravvento delle forze reazionarie e la conseguente decadenza economica e sociale.
Nelle compilazioni del "Catasto Onciario" della metà del Settecento, si rileva che la maggior parte della popolazione lucana era composta esclusivamente da braccianti e contadini e se ad ogni famiglia spettava in media un reddito di 40 once, ai feudatari o "forestieri bonatenenti" erano invece accertate 205 once , e ben 326 calcolate per ogni ente ecclesiastico, beni considerati per la metà, secondo le direttive del Concordato.
Con queste persistenti ed esorbitanti disuguaglianze erano davvero pochi gli esponenti della società locale che riuscivano a raggiungere posizioni economiche ragguardevoli e, quei pochi, costituivano il nerbo della nuova borghesia rurale che tanta parte avrebbe avuto nella storia dei secoli successivi. L 'influenza dei nuovi orientamenti liberali e repubblicani dell'epoca dei lumi fu consistente in Basilicata, grazie soprattutto alla vicinanza di Napoli che fu il centro propulsore dell'illuminismo nel Mezzogiorno; lì infatti operavano molti uomini di cultura lucani che si sarebbero distinti nei moti di fine secolo. Ruolo di primo piano in questo senso assunse la presenza del filogiansenista Giovanni Andrea Serrao, nominato vescovo di Potenza da Re Ferdinando di Borbone nel 1783, nonostante l'opposizione del Papa. Parte autorevole del movimento cattolico riformatore napoletano il Serrao fu il fautore del nuovo orientamento liberale introdotto nella formazione del giovane clero del Seminario di Potenza e l'ispiratore dei circoli progressisti della città. L'inquietudine sociale, mai sopita nel corso dei centocinquanta anni trascorsi dalla "rivoluzione di Masaniello", esplose con rinnovato vigore nel 1799.
Il 3 febbraio la popolazione di Potenza scese in piazza e di lì i moti si estesero in tutta la regione, animati dalla "Organizzazione democratica" guidata dai giovani fratelli Michelangelo e Girolamo Vaccaro di Avigliano. Ad arginare l'insurrezione generale, basata sulla comune difesa repubblicana, tra la fine di marzo e l'inizio di aprile si sarebbe scagliata la terribile controffensiva borbonica. La prima durissima repressione si verificò proprio a Potenza dove truppe realiste assaltarono e saccheggiarono il Seminario e il vescovato, decapitando selvaggiamente sia il rettore che il vescovo Serrao, i cui corpi vennero esposti al pubblico "ludibrio". I borbonici intanto, guidati da Sciarpa, si ricongiungevano con le truppe sanfediste all'ordine del cardinale Ruffo che risaliva la penisola dalla Calabria, assoldando anche molti briganti. A lungo resistette Tito, dove infine gli uomini di Sciarpa trucidarono la famiglia Cafarelli; in aprile però tutta la parte nord occidentale della regione opponeva ancora forte resistenza tanto che il cardinale Ruffo fece richiesta di altre forze per "far crollare la costanza dei montagnuoli di Basilicata". 

Ma l'esperienza repubblicana si spegneva con il lungo assedio di Picerno dove si erano concentrate tutte le forze di resistenza insorte; il 15 maggio, caduta Picerno, trovarono la morte i fratelli Vaccaro e almeno altri settanta fra uomini e donne. Occupata Potenza i senfedisti conclusero la loro "crociata" a Melfi dove tra il 29 ed il 31 maggio la Basilicata potè dirsi riconquistata. 
La repressione seguita alla resa fu durissima e se a Napoli cadeva un'intera generazione di intellettuali illuminati e fra i tanti lucani anche Mario Pagano, in Basilicata la lista dei "Rei di Stato" divenne interminabile e la vendetta sanfedista e realista si abbattè su contadini, artigiani, sacerdoti, borghesi, tutti coloro che avevano anche pur solo vagheggiato la resistenza alla feudalità ed ai borboni.
Eppure, nonostante così dura fosse stata la repressione, gli ideali di quella rivolta non si spensero anzi, nel decennio di governo francese, nella legislazione che aboliva la feudalità e la manomorta ecclesiastica, gli animi repubblicani si risollevarono. Fra le trasformazioni introdotte in Basilicata da Giuseppe Bonaparte e il reggente Gioacchino Murat, determinante fu la decisione di trasferire la Provincia; il fulcro delle attività amministrative della regione si spostava così a Potenza, pare per l'appoggio garantito dai potentini alle truppe di occupazione francesi, cosicché, nel giro di pochi anni, il paese che si estendeva ancora solo nella parte più alta, dal Duomo alle prime case extra moenia che erano quelle di Porta Salza, dovette trasformarsi in città ed adeguare il suo assetto urbanistico alle nuove importanti funzioni amministrative; ma per questo ci volle tempo e in tanti si spostarono a vivere nei sottani per dar posto, magari in affitto, agli apparati della nuova classe dirigente. Dal 1806 al 1815, intanto, oltre 16.000 ettari di terre demaniali venivano divise, per ordine di Giocchino Murat, in 13.000 quote assegnate ai coltivatori; si frantumava così, per la prima volta, l'antico e pervicace assetto feudale della Basilicata.

La consapevolezza e la coscienza di questi diritti non sarebbe mai più venuta meno, come dimostreranno le lotte contadine proseguite fino al nostro secondo dopoguerra. 

Documento Originale presente sul sito della Regione Basilicata

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