La Storia della Lucania

Liberamente tratto da "BREVE STORIA DELLA BASILICATA di Palma Fuccella"

(ultimo aggiornamento : 01/02/2013 - last update 02/01/2013 )


Il Risorgimento

Proclama di Francesco II in occasione del suo ritiro da Napoli.





Con l'assetto politico e territoriale dell'Italia determinato dal Congresso di Vienna l'Austria divenne la grande potenza egemone della penisola e, ancor più, del Mezzogiorno dove la restaurazione era avvenuta proprio grazie all'intervento dell'esercito austriaco contro Murat. Con il trattato difensivo firmato il 12 giugno 1815 quale "re delle Due Sicilie" si reinsediava Ferdinando IV di Borbone, divenuto Ferdinando I, mentre l'Austria di fatto assumeva il controllo dell'esercito napoletano. 
L'alleanza tra i contadini e la giovane borghesia lucana che aveva animato le lotte repubblicane del 1799, avrebbe avuto parte di grande rilievo nella cospirazione antiborbonica della prima metà dell'Ottocento. Protagonisti dei moti carbonari del 1820-21 furono in Basilicata Domenico Corrado, che operava nel melfese, i fratelli Giuseppe e Francesco Venita, giovani possidenti di Ferrandina, fuoriusciti dall'esercito borbonico, e il dottor Carlo Mazziotta di Calvello attivo in val d'Agri. Questi patrioti postisi alla guida della resistenza lucana potevano contare sull'ingente forza d'urto delle popolazioni contadine, che muovevano istanze di libertà e richieste di nuove leggi agrarie. Ma l'epilogo fu tragico e la repressione borbonica ed austriaca si scatenò violenta ed impietosa; i fratelle Venita furono catturati nel bosco di Pietrapertosa, il dottor Mazziotta ed altri patrioti fatti prigionieri a Calvello e Domenico Corrado venne arrestato sulle Murge di Gravina di Puglia. Furono tutti processati e fucilati a Potenza, dalle truppe del generale Roth fra il marzo e l'aprile del 1822, insieme a tanti sospettati o presunti cospiratori.
Ma la reppressione, seppur violenta, ancora un volta non spense gli ideali di libertà e di uguaglianza che animavano ovunque le lotte del Risorgimento italiano. Nel 1832, venuto a sondare le possibilità di penetrazione dei programmi unitari del Mazzini e del Gioberti, arrivò in Basilicata il fiorentino Giovanni Palchetti. La popolazione era in fermento e un ruolo di primissimo piano nel sostenere gli ideali democratici ebbero quei sacerdoti lucani che in un certo senso seguivano gli insegnamenti introdotti dal Serrao sul finire del XVIII secolo. A Potenza il sacerdote Emilio Maffei, animatore instancabile di tutta la fase risorgimentale, divenne il perno del "Movimento antiborbonico ed unitario della Basilicata" al quale aderirono molti altri prelati fra cui i fratelli Luigi e Michele Biscione, presso i quali si riuniva il folto gruppo dei democratici progressisti intorno al 1848. Il centro moderato, invece, faceva capo all'avvocato Vincenzo d'Errico e si riuniva solitamente nella libreria di Giacinto Cafieri; fra questi vi era anche Nicola Sole, il poeta che tanto echeggiò nei suoi versi l'atmosfera del Risorgimento italiano. Molte delle decisioni del movimento furono assunte con la partecipazione delle autorità locali, dell'Intendente provinciale La Rosa e del Vescovo Pieramico, una "cospirazione" a cielo aperto che godeva, al contrario che altrove, di un ampio raggio d'azione. 
Con l'insurrezione di Palermo avvenuta il 12 gennaio 1848, ben presto generalizzatasi in tutto il Regno, Ferdinando II che non potè contare sull'aiuto della gendarmeria austriaca a cui il papa non concesse il permesso di transito, si vide costretto, primo fra tutti i sovrani italiani, a concedere una Costituzione (29 gennaio 1848). All'indomani vi fu grande soddisfazione fra i moderati ed i progressisti del Regno che raggiungevano un obbiettivo insperato; in questo clima di generale esultanza i contadini cominciarono a far sentire la propria voce. La mobilitazione delle campagne in molti casi anticipò l'azione dei liberali e trovò generalmente l'appoggio incondizionato della borghesia anche se con alcune ombre come nel caso del comunicato diffuso dall'Intendente La Rosa dopo l'annuncio della Costituzione, un appello a stampa con il quale si metteva in guardia i proprietari terrieri dall'aderire alle agitazioni demaniali. Ma ormai le rivendicazioni sociali interessavano tutta la regione; a Matera la sollevazione s'era così estesa che sia il d'Errico che l'arcivescovo Di Macco sollecitarono la divisione delle terre. E proprio la lotta contadina di quegli anni metteva in luce come la maggior parte degli usurpatori di quelle contese terre demaniali fossero ancora, come nel caso dei Caracciolo e dei Doria, gli eredi delle famiglie feudali insediatesi fra il Trecento e il Cinquecento.

Mentre i dimostranti guidati o affiancati dagli esponenti della borghesia locale si appropriavano delle terre usurpate, si diffondeva la notizia che il Re aveva sconfessato la Costituzione ed esautorato il Parlamento. Napoli era insorta e molti accorsero a rinforzare la resistenza, fra questi Luigi La Vista di Venosa, discepolo prediletto del De Sanctis, morto in nome della Repubblica sulle barricate di via Toledo il 15 maggio del 1848.
Il "Circolo Costituzionale" guidato dal d'Errico e dal Maffei, prese allora in mano la situazione e riuscì rapidamente a far approvare un documento che trasformava il Circolo in un "Comitato per la difesa della Costituzione violata dal Re". Il Comitato guidò l'azione di difesa e l'organizzazione militare degli insorti in Basilicata, promettendo la quotizzazione delle terre demaniali; all'inizio di giugno venne sottoscritta una "Dichiarazione di Principi Costituzionali",poi approvata

dalla Dieta provinciale e da quella federale, quest'ultima indetta al Liceo di Potenza ed alla quale aderirono rappresentanti del Molise, della Capitanata, della Terra d'Otranto e della Terra di Bari. Nel corso di quella Dieta, dopo aspre contese, venne approvato e firmato un documento politico unitario, quel Memorandum che poi i borboni utilizzarono "sapientemente" per individuare i sovversivi. I moti si spegnevano in Basilicata nel luglio del 1848 e gran parte delle persone coinvolte furono processate ed incarcerate a Potenza.
Traendo le sue conclusioni nel dibattimento contro i cospiratori, il giudice Echaniz condannò ugualmente il d'Errico e il Maffei e, mettendo su uno stesso piano l'esperienza dei moderati e quella dei progressisti, concluse che quei partiti, "sebbene con diverso intendimento, miravano allo stesso reo fine: di abbattere cioé l'Autorità Reale ed attentare al potere costituito". Con questi presupposti nel 1852 gli imputati nel carcere S. Croce di Potenza erano 1.116 e tre anni più tardi, 1609. Il d'Errico fuggì a Torino dove morì nel 1856, anno in cui si concludeva il secondo processo a carico del Maffei che impavido aveva riallacciato rapporti con l'associazione unitaria dei carbonari e mazziniani sorta a Napoli e di cui facevano parte Carlo Poerio, Silvio Spaventa e Luigi Settembrini. Questa volta il Maffei fu condannato a morte ma per sua fortuna la pena fu poi commutata in ergastolo; egli però riuscirà a tornare in Basilicata nel 1860, grazie all'amnistia, insieme a Luigi Settembrini con cui aveva diviso gli anni d'esilio politico in Inghilterra.

Violenti terremoti si verificarono ripetutamente in Basilicata; dopo quello del 1851 (X grado della scala MCS) che aveva colpito il Vulture, il 16 dicembre del 1857 una scossa dell'XI grado apriva numerose fratture nella terra della Val d'Agri ed in particolare a Montemurro, dove le frane provocarono circa 5.000 vittime. Molti degli insorti, intanto, avevano abbandonato il capoluogo, ormai presidiato, rifugiandosi nei paesi della Val d'Agri. E proprio fra Montemurro, Moliterno e Corleto Perticara fu in quegli anni ordita la trama in favore dello sbarco di Carlo Pisacane che, secondo alcune testimonianze, doveva orientarsi prima in Val d'Agri, qui rinforzarsi con le forze riunite da Giacinto Albini, e poi dirigersi verso Salerno. Ma così non fu e l'impresa finì tragicamente sulla via di Sanza. Il fallimento di quella spedizione provocò forti critiche nei confronti di Mazzini e del Partito d'azione che in un certo senso avvantaggiarono la linea della Società Nazionale (1857) costituita da Cavour, con il concorso sia dei democratici moderati che delle forze liberali, per conseguire l'unità italiana. Giacinto Albini, comunque, proseguì la sua attività politica ricostruendo il partito liberale lucano con il supporto del progressista Nicola Mignogna e del colonnello cavouriano Camillo Boldoni. Sotto la loro guida si svolsero le vicende dell'agosto 1860 quando in Basilicata, prima che altrove, si innalzarono le bandiere dell'Italia unita. Le vittoriose imprese garibaldine in Sicilia avevano risvegliato gli animi popolari e ovunque erano riprese le lotte per le terre demaniali; a Matera gli scontri assunsero subito un carattere molto violento poiché il popolo insorto uccise il conte Gattini ed alcuni suoi collaboratori. Prima che la situazione degenerasse, Albini, Mignogna e Boldoni affrettarono l'iniziativa politica ed a Corleto Perticara, dove erano da tempo ospiti di Carmine Senise, per primi dichiararono decaduti i borboni proclamando l'unità nazionale. Francesco II, insediatosi nel maggio del 1859, vista l'impossibilità di controllare i moti esplosi in Sicilia con Garibaldi e già estesisi a macchia d'olio nel Regno, tentò di guadagnare alla propria causa i liberali moderati concedendo la costituzione del '48, ma ormai era troppo tardi.
In Basilicata, grazie ai collegamenti preventivamente creati dai cospiratori, fra cui collaborarono attivamente i fratelli Pietro e Michele Lacava di Corleto, gli insorti intrapresero una marcia decisa verso il capoluogo dove quasi nulle furono le resistenze borboniche; a Potenza, il 18 agosto 1860, fu insediato il Governo Prodittatoriale di Albini e Mignogna e a capo della città venne nominato il sindaco Antonio Sarli. Tutto questo accadeva ancora prima dello sbarco di Garibaldi in Calabria, dunque, dalla Basilicata, in quindici giorni si erano determinate le condizioni di indipendenza di ben nove province del Sud, facilitando il compito di Garibaldi ma anche quello di Cavour che grazie a questi moti indipendenti riusciva a giustificare agli occhi della diplomazia europea l'intervento sabaudo nel Mezzogiorno in favore dell'unità d'Italia.
Il 3 ottobre le truppe piemontesi guidate dal re si misero in marcia verso il Sud e Cavour fece approvare alla Camera una legge che prevedeva l'annessione incondizionata del Mezzogiorno, che Garibaldi ed il Partito d'azione finirono per accettare il 26 ottobre nello storico incontro di Teano. Il 13 febbraio cadeva la fortezza di Gaeta dove si era rifugiato Francesco II, che partì per Roma, e il 17 marzo 1861 il primo Parlamento nazionale proclamò a Torino Vittorio Emanuele II re d'Italia "per grazia di Dio e volontà della Nazione".
Il "Corriere Lucano", meglio titolato "Giornale Uffiziale della Rivoluzione", il 28 agosto del 1860 aveva documentato il grado di unità del movimento insurrezionale lucano che tanto doveva alla forza di quei contadini per i quali si auspicava la rapida soluzione della questione demaniale. Ma non fu così facile risolvere il problema della terra, poiché nonostante il compito di soprintendere a tale operazione fosse stato affidato all'insigne Giacomo Racioppi, il programma rivoluzionario venne applicato solo in minima parte ed il Governo Dittatoriale di Garibaldi durò ben poco, così come la guida politica all'unità di Cavour. Rimasta irrisolta l'annosa questione della terra, si apriva ancora una volta il baratro innanzi alle istanze di quella parte di società che tanto aveva contribuito all'unità d'Italia. Si producevano così le premesse di quell'isolamento delle masse rurali dalla nuova compagine dello Stato nazionale che determinò l'esplodere della guerriglia contadina e del brigantaggio. 

 

Documento Originale presente sul sito della Regione Basilicata

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