Rocco Scotellaro

(ultimo aggiornamento : 01/02/2013 - last update 02/01/2013 )


Nonostante le umili origini (il padre Vincenzo era calzolaio, la madre, Francesca Armento, casalinga) la sua infanzia trascorre piuttosto serenamente e i sacrifici familiari gli consentono di frequentare la scuola. A dodici anni si trasferisce a Sicignano degli Alburni per iscriversi al collegio, per poi spostarsi a Cava dei Tirreni, Matera, Roma, Potenza, Trento e Tivoli, dove porta a compimento il percorso di studi classici.

Nel 1942 frequenta la facoltà di giurisprudenza a Roma e gli viene assegnato un posto di istitutore presso Tivoli, ma, conseguentemente alla guerra e alla morte del padre, avvenuta lo stesso anno, decide di tornare nel suo paese natale.

Ben conoscendo il dramma dei contadini meridionali e avendo fatto suoi le indicazioni e i consigli del padre, pur continuando gli studi (prima a Napoli, poi a Bari) inizia un’intensa attività sindacale che sfocia nell’iscrizione al Comitato di Liberazione Nazionale e al Partito Socialista e nella fondazione della sezione tricaricese del suddetto partito.

Nel 1946, all’età di ventitré anni, diventa sindaco di Tricarico e nello stesso anno incontra per la prima volta Manlio Rossi Doria e Carlo Levi, che Rocco indicherà come suo mentore.

Nel 1950 è accusato di concussione, truffa e associazione a delinquere dai suoi avversari politici e per questo costretto al carcere per 45 giorni circa, quando la cospirazione politica che aveva avanzato l’accusa fu chiara e Rocco fu assolto con formula piena per non aver commesso il fatto.

A causa di questa vicenda, unita alla delusione scaturita dalla non elezione a livello provinciale, abbandona l’attività politica per dedicarsi maggiormente a quella letteraria.

Nello stesso anno accetta la proposta di Rossi Doria per un incarico all’Osservatorio Agrario di Portici, dove compie ricerche e studi sociologici e comincia un’inchiesta sulla cultura e sulle condizioni di vita delle popolazioni del sud per conto della casa editrice Einaudi.

L'indagine rimase interrotta per la morte improvvisa di Scotellaro, il 15 dicembre 1953, stroncato da un infarto, a soli 30 anni.

L'attività politica
Nel dopoguerra Rocco Scotellaro vide nel Partito Socialista il mezzo ideale per il miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei contadini di cui i governi si erano sempre poco occupati.

Avendo vissuto l’infanzia e lunghi anni dell’età adulta in un centro rurale, era ben conscio della situazione disumana in cui sopravviveva la civiltà contadina: le carenze alimentari e igienico-sanitarie, un caporalato spietato e intransigente, l’estrema e costante povertà.

Sin dall’inizio della sua attività politica si dedicò quasi esclusivamente allo sradicamento di queste fonti di malessere secolare.

Nel dopoguerra partecipò attivamente all’occupazione delle terre incolte di proprietà dei latifondisti e fu tra i maggiori promotori della Riforma Agraria del Sud e in modo particolare della Basilicata.

Sua caratteristica principale in ambito politico è la volontà di coinvolgere la popolazione per la soluzione dei problemi, come dimostra la fondazione dell’Ospedale Civile di Tricarico, nel 1947, realizzato con il contributo economico e umano dei cittadini, tra cui il vescovo dell’epoca, Raffaello delle Nocche.

L’ingenuità politica, forse determinata dalla sua giovanissima età, si palesò al momento dell’arresto, che scatenò in lui una delusione tanto amara da indurlo ad abbandonare gli incarichi istituzionali, senza però farlo mai disamorare della sua gente.

L'attività letteraria       
Tutte le opere di Scotellaro sono strettamente collegate alla società contadina a cui orgogliosamente dice di appartenere.

Gran parte degli scritti e delle composizioni di Scotellaro furono pubblicate postume, anche grazie all’impegno e all’interessamento di Levi e Rossi-Doria, e valsero all’autore lucano diversi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Viareggio e il Premio San Pellegrino, entrambi nel 1954.

L’ambito letterario in cui Scotellaro si dimostrò più prolifero fu la poesia (con oltre un centinaio di composizioni), ma fu autore anche di un romanzo (L’uva puttanella), un’inchiesta (Contadini del sud), un’opera teatrale (Giovani soli) e diversi racconti, raccolti nell’opera “Uno si distrae al bivio”.

La poesia

Le composizioni giovanili
Già durante l’adolescenza scrive le prime poesie, come dimostra la poesia “Lucania”, scritta nel 1940:


M'accompagna lo zirlio dei grilli

e il suono del campano al collo

d'un'inquieta capretta.

Il vento mi fascia

di sottilissimi nastri d'argento

e là, nell'ombra delle nubi sperduto,

giace in frantumi un paesetto lucano.


Questi versi, così come tutti quelli del periodo (“I versi e la tagliola” , “Nel trigesimo di mio padre”), sono caratterizzati da un’ambientazione pastorale serena, descritta tramite elementi sia realistici che fantastici, creando un’armonia di immagini e visioni che esaltano la vita bucolica.

Il cambiamento stilistico e le nuove speranze
Le asperità della vita, però, portano il giovane autore a una visione più concreta della realtà che lo circonda: prima la nostalgia del paese, poi la guerra fanno sì che i versi diventino più severi e critici, scaturendo la completa perdita di ingenuità e leggerezza nelle composizioni.

Nascono così versi come “Passaggio alla città” e “La fiera”.

Al periodo di sconforto e di negatività segue l’enfasi del riscatto politico e sociale della civiltà contadina, da cui prendono spunto per poi trasformarsi in versi d’incitamento le composizioni dal 1945 al 1947, in cui protagonisti sono i “cafoni”, pronti a rivendicare i propri diritti. La lirica diventa incalzante, sferzante, per certi aspetti epica, a celebrare l’ingresso nella civiltà del mondo meridionale.

Di questi anni sono “L’amica di città”, “E’ fatto giorno”, “Sempre nuova è l’alba”, “Le nenie”.

Lo svilimento       
La fase rivoluzionaria, però, ben presto lascia il posto ad un momento di sconforto dato dai risultati elettorali del 1948. Il linguaggio poetico diventa meno spontaneo, ma più cupo e volutamente ripetitivo, da cui emerge un senso di rassegnazione e smarrimento.

Sotto questa luce nascono “Pozzanghera nera il 18 aprile”, “Noi non ci bagneremo”, “Noi che facciamo?”, “Ho capito fin troppo”. Questa fase non comporta la perdita di spinta propulsiva bensì fa in modo che il sindaco poeta trasporti tutto il suo impegno a favore dei contadini nell'attività letteraria abbandonando quella politica - è come se egli si fosse reso conto che un impegno letterario potesse essere piu' duraturo nel tempo - D'altronde il tempo gli ha dato ragione, visti i riconoscimenti post-mortem che gli sono pervenuti e l'importanza che la questione meridionale ha assunto anche grazie alle sue testimonianze.

Oltre la civiltà contadina
Ampio spazio nella poesia scotellariana è riservato alla figura dei genitori, in modo particolare al padre, verso cui nutriva sentimenti di affetto e profondo rispetto e la sua improvvisa scomparsa fu fonte di incommensurabile dolore e pentimento, come dimostrano “Mio padre”, “Al padre” e “La benedizione del padre”.

La figura materna è vista in maniera ambivalente. In diversi componimenti guarda a lei con occhio comprensivo e compassionevole per la vita che è costretta a vivere, le parole per lei sono colme di amore ed al contempo in grado di esaltarne le virtù e di evidenziarne i limiti dati dalla sua condizione sociale (“Tu sola sei vera”, "Casa"). In altre poesie il tono si fa aspro, il rapporto conflittuale ("A una madre", "Il grano del sepolcro").

Altri componimenti di notevole interesse letterario e sociologico sono “Ti rubarono a noi come una spiga”, “La luna piena” e “Giovani come te” tramite cui Scotellaro fornisce una moltitudine di interessanti spunti per un’ analisi accurata del modo di vivere e di concepire il mondo non solo della civiltà contadina, ma anche dei giovani come lui che vi crescevano a stretto contatto.

la consapevolezza della malattia e la paura della morte
Col passare degli anni la sua poesia si fa più angosciosa e in alcuni componimenti si fa evidente la paura della morte. Emblematica, quasi un presagio, è la poesia “Le tombe le case” nella quale le parole del titolo si ripetono in maniera ossessiva e il verso “cuore cuore oltre non ti fermare” diventa, nello svolgersi del componimento, “cuore, non ti fermare”.

Le tombe le case

Le tombe le case ...

cuore cuore

oltre non ti fermare.

Il fumo dei camini

nell'aria bagnata;

il passo dei nemici:

bussano alla tua porta, proprio.

Cuore cuore

oltre non ti fermare.

Le tombe le case,

Novembre è venuto,

la campana: è mezzogiorno,

è lo scherzo del tempo.

I morti non possono vedere,

la mamma è cieca presso il focolare.

Cuore cuore

oltre non ti fermare.

Le tombe le case,

dirsi addio e rimandare

l'amore ad altra sera.

Come le mosche moribonde ai vetri

scorrono ai cancelli i prigionieri,

è sempre chiuso l'orizzonte.

Quanti non hanno che sperare,

cuore, non ti fermare.

Le tombe le case,

e il dieci di Agosto

che abbiamo scasato.

Che fanno dove abitavamo?

Negli alberghi girano le chiavi?

I miseri, i buoni

son condannati ai traslochi?

Le donne ebree gridano sui massi

del tempio rovinato.

Quanti non hanno chi pregare,

cuore non ti fermare.

Le tombe le case,

uomini curvi donne aggrovigliate

si confessano alle inferriate

della Ricevitoria del lotto.

L'anima mia

è in questo respiro

che mi riempie e mi vuota.

Cosa sarà di me?

Cosa sarà di noi?

Per chi vuol camminare

dalle tombe alle case

dalle case alle tombe

grida nei cantieri

grida ai minatori

cuore, non ti fermare.

Commento critico       
Disse di lui Eugenio Montale: 'Rocco Scotellaro ha potuto lasciarci un centinaio di liriche che rimangono certo tra le più significative del nostro tempo... in lui l'impasto tra la vena che direi internazionale e la vena popolare hanno trovato un'insolita felicità d'accento '.

Una delle sue poesie più conosciute è:

La mia bella Patria


Io sono un filo d'erba

un filo d'erba che trema

E la mia Patria è dove l'erba trema.

Un alito può trapiantare

il mio seme lontano.

La prosa       
Parallelamente alla poesia, Scotellaro sviluppa passione per la prosa, così, dopo i primi versi, scrive alcuni racconti (1942-1943), in cui si prefigurano l’ambientazione e i protagonisti di tutta la sua opera letteraria futura.

Gli scritti in prosa, se confrontati alle composizioni poetiche, sono in numero minore, di natura eterogenea e concepiti in periodi di vita molto particolari per l'autore, quindi, in essi non possiamo riscontrare grandi cambiamenti stilistici e tanto meno un processo di maturazione compositiva e culturale dell'autore. Tramite questi, invece, è possibile un’analisi piuttosto profonda dei sentimenti e delle convinzioni che animarono lo scrittore negli ultimi anni di vita.

L'uva puttanella       
Si tratta di un romanzo autobiografico probabilmente iniziato attorno al 1950 e rimasto incompiuto a causa dell’ improvvisa morte di Scotellaro.

I primi capitoli di quest’opera presentano l’autore, dalla sua infanzia fino alle vicende che lo portarono in carcere e alle dimissioni da sindaco, per poi svilupparsi, facendo emergere intenti ben più ambiziosi di un semplice racconto di eventi personali.

Infatti, nonostante la narrazione sia frammentaria e disomogenea, appare chiaro che gli eventi negativi vissuti sono spunti per una riflessione ampia e profonda sul contesto storico in cui Scotellaro vive, concentrandosi in modo particolare su quel sottoproletariato rurale (paragonato agli acini maturi, ma piccoli, di uva puttanella) di cui ben conosce angosce e tribolazioni, riuscendo ad unire a questi sentimenti la ricerca di soluzioni e risposte adeguate.

Contadini del Sud       
È un’indagine sociologica iniziata nel 1950 e rimasta anch’essa incompiuta.

È costituita dalla narrazione di storie individuali, fatte dagli stessi protagonisti, molto differenti tra loro: Cosimo Montefusco, bufalaro della piana del Sele, le cui ambizioni non si spingono oltre lo scavar fossi e zappare il proprio terreno; Andrea Di Grazia, coltivatore diretto e democristiano; Francesco Chironna, mezzadro, potatore e innestatore, che si ritiene politicamente indipendente; Michele Mulieri, contadino ed artigiano, anarchico; Antonio Mangiamele,suo intimo amico;Antonio Laurenzana piccolo affittuario di Tricarico.

Attraverso le loro testimonianze e alcuni scritti lasciatigli dalla madre, l’autore riesce a dipingere il variegato quadro della civiltà contadina, fatto certamente di dolore e sconforto, ma anche carico di voglia di riscatto dato anche da un certo “risveglio politico”.

Uno si distrae al bivio       
È la raccolta dei primi racconti di Scotellaro e il titolo di quest’opera è preso dal primo di essi, ovvero quello ritenuto il più vecchio dell’antologia.

Questo piccolo volume nacque grazie a Carlo Levi, che si occupò personalmente del recupero e del riordino di questi scritti, a cui pose una sua prefazione, da cui emerge l’affetto e l’ammirazione per il sindaco-poeta lucano:

« … Resta e si accresce una giusta immagine di lui, che non si può chiudere in schemi, né sfuocare in commosse esaltazioni, ma che sempre più chiaramente si mostra in un suo carattere unico e esemplare, una realtà vera che va al di là del suo mondo di allora, dei suoi dolori, delle sue lotte, che non si ferma agli scritti, e che parla sempre più chiaramente, in modo nuovo, non solo della Lucania e del Mezzogiorno, ma della vita dell’uomo e della sua pericolante giovinezza… »


Una delle caratteristiche di quest’opera è data dall’originalità del linguaggio, in grado di unire termini e strutture linguistiche dialettali ad un italiano quasi aulico e celebrativo, tramite cui si rafforza la pienezza espressiva.

Questi racconti potrebbero essere intesi come il punto di partenza dell’opera scotellariana: non ancora stilisticamente maturi e piuttosto limitati nell’ambito dei contenuti, ma già capaci di delineare i valori e gli ideali caratterizzanti l’opera politica e letteraria dell’età matura.

Tramite essi si assiste al passaggio dall’adolescenza, con la confusione e l’indeterminazione a cui essa si lega, alla persona compiuta, capace di scindere volontà e dovere, in grado di affrontare con coraggio i bivi a cui la vita conduce, nonostante la consapevolezza che la strada da intraprendere è difficile e dolorosa.

Giovani Soli       
Opera teatrale in due atti, concepiti durante la permanenza a Trento, fu pubblicata per la prima volta nel 1984, grazie a una parente di Scotellaro, Rosaria Toneatto, che si occupò della sua conservazione.

Sentirsi soli è come essere faccia a faccia con la morte da questa frase dell’autore potremmo estrapolare il leitmotiv di questo dramma, sul cui sfondo si stampa la crisi nazionale degli anni ’42-’43, che alimentano i dubbi e gli interrogativi personali di Scotellaro.

È dunque necessario, per fronteggiare adeguatamente il periodo negativo, fare i conti con la realtà, comprendere di essere parte attiva e integrante di essa, abbandonando qualunque tipo di alienazione.

Quest'opera, oltre ad aggiungere qualcosa alla sua biografia, può contribuire a far conoscere uno Scotellaro più vero e pieno di interessi.

Bibliografia       
Opere di Rocco Scotellaro       
È fatto giorno, Mondadori, Milano 1954, 1982;
Contadini del Sud, Laterza, Bari 1954;
L'uva puttanella, Laterza, Bari 1955;
Uno si distrae al bivio, Basilicata, Roma-Matera 1974;
Margherite e rosolacci, Mondadori, Milano 1978;
Giovani soli, Basilicata, Matera 1984;
Tutte le poesie 1940-1953, Mondadori, Milano 2004.
Opere su Rocco Scotellaro       
Franco Fortini, La poesia di Scotellaro, Basilicata, Roma-Matera 1974;
AA. VV., Il sindaco poeta di Tricarico, Basilicata, Roma-Matera 1974;
Franco Vitelli, Bibliografia critica su Scotellaro, Basilicata, Matera 1977;
Raffaele Nigro, a cura di, Lettere a Tommaso Pedio, Edizioni Osanna Venosa, Lavello, 1986;
Laura Parola Sarti, Invito alla lettura di Rocco Scotellaro, Mursia, Milano 1992.
Voci correlate       
Premio Viareggio
Premio San Pellegrino
Tomba di Rocco Scotellaro
Collegamenti esterni       
Centro di Documentazione Rocco Scotellaro
 

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