Silvio Spaventa Filippi

(ultimo aggiornamento : 01/02/2013 - last update 02/01/2013 )


Silvio Spaventa Filippi

a cura di Annalisa TARULLO

 

LE RADICI LUCANE DEL DIRETTORE DE IL CORRIERE DEI PICCOLI

OPEROSO IN OGNI CAMPO IN CUI L’INGEGNO, LA PENNA E LA PAROLA POTESSERO CORRERE
LIBERI SU UNA CARTA IMMACOLATA

Silvio Spaventa Filippi nacque ad Avigliano, un paese in provincia di Potenza, il 1 settembre del 1871.
Primo amore e fonte di immensa gioia fu per lui la lettura. Negli anni in cui i bambini prediligono balocchi e trastulli fanciulleschi, il piccolo Silvio chiedeva in dono libri di ogni genere, una sorta di nettare degli dei, divorati con insolita voracità sotto l’impulso di uno sconfinato desiderio di conoscenza.
Sebbene profondamente legato al paese natio, compìti i primi studi, all’età di nove anni raggiunse il prozio monsignor Luigi Filippi, arcivescovo de L’Aquila, sotto la cui tutela conseguì la licenza classica.
Nello scorcio di fine secolo la città marchigiana rappresentava un centro culturale e politico assai effervescente: l’atmosfera che si respirava nella sala Patini era suggestiva, simile a quella dei caffè culturali di una Torino o di una Milano di fine secolo. In quel clima particolarmente stimolante Silvio si tuffò in un’attività febbrile, ora nelle vesti di giornalista, ora di saggista, ora di polemista ed ancora di recensore, romanziere e linguista… In una parola, operoso in ogni campo in cui l’ingegno, la penna e la parola potessero correre liberi su una carta immacolata.
Non proseguì gli studi: clericus vagans in cerca della propria “dimensione”, si iscrisse prima alla facoltà di Giurisprudenza, poi a quella di Lettere, senza portare a termine nessuno dei due corsi di laurea.
Nell’aprile del 1890 il primo approccio al giornalismo. Era appena diciannovenne quando fondò insieme all’amico Alfredo Parfilia La Campana Abruzzese. I suoi brevi racconti e le critiche letterarie gli fruttarono nuove collaborazioni ed una certa fama: nel 1891 assunse la direzione di un periodico aquilano a carattere politico-letterario, La Bandiera, e successivamente diresse altri giornali cittadini, quali Il Folchettino (1895-1896) ed Il Tartarino (1898-1899).


SILVIO SPAVENTA FILIPPI “UN SECONDO DE MAISTRE”

“L’UMORISMO SOLA FORMA DI RAPPRESENTAZIONE LETTERARIA IN CUI SI COMPENDI
VERAMENTE E INTERAMENTE L’UOMO”.

I compaesani Tommaso Claps, magistrato e scrittore, ed Antonio Labella, anch’egli scrittore e poeta, rimasero sempre importanti punti di riferimento per Silvio. Lo stimolarono positivamente nella composizione di un libretto giovanile, Intorno a se stesso (1896), primo ricettacolo di una verve narrativa di un “secondo De Maistre”, capace di appassionare il lettore con spunti di riflessione intrisi di sottile umorismo.
Tre anni dopo seguì la pubblicazione di una raccolta di conferenze da lui svolte, Testa e Croce. Era l’anno 1899. Lo Spaventa Filippi fu invitato a dire le solite “quattro chiacchiere” in una conferenza - raccontò l’amico e scrittore Dino Provenzal - ma esitò. Odiava il clima mortalmente noioso che aleggiava negli incontri dei conferenzieri di professione e per porvi rimedio espose la “Psicologia della Conferenza”, un’aspra filippica contro fiumi di soporifera eloquenza. Coraggiosamente affermò:
“Ciò che esce dalla bocca dei conferenzieri, anche dei più illustri e famosi, è in maggior parte stoppa…All’orecchio dell’uditore arrivano frasi staccate, ruderi di parole, un polverio di zampillo portato dal vento, che inumidisce, ma non innaffia, dei suoni confusi, non dei concetti”.
Silvius - così amava simpaticamente firmarsi - pur avendo scosso con successo gli animi di moltissimi, sollevò un vero polverone. Fu necessaria una palinodia, Rovescio della medaglia, duramente bersagliata dai conferenzieri “vecchio stampo”, che riconobbero allo Spaventa Filippi come unica dote quella di saper scherzare, ridere e far ridere.
Silvio non incassò il colpo in silenzio. In risposta pubblicò L’Umorismo e gli umoristi, prova di sottile ingegno, in cui difese l’umorismo come espressione suprema dello spirito: “…L’umorista non fa ridere…E l’umorismo non fa nemmeno piangere… L’umorismo oscilla così tra la gioia e il dolore, tra i fiori e i rovi, tra gli spazi azzurri e le tombe, tra le risa e le lagrime; sola forma di rappresentazione letteraria in cui si compendi veramente e interamente l’uomo”.

UNA BRILLANTE CARRIERA DA GIORNALISTA IN CONTINUA ASCESA
ACCANTO AL LAVORO IL RACCOLTO MONDO DOMESTICO
Nei primi anni del nuovo secolo si susseguirono in rapida successione una serie di incarichi che aggiunsero lustro all’eccellente esperienza giornalistica dello Spaventa Filippi.
Era appena ventinovenne quando gli fu affidata la direzione de La Lombardia. Nel 1904 un nuovo traguardo: passato al Corriere della Sera si occupò della fortunata rubrica “Riviste e Giornali” fino al nuovo incarico di redattore di politica estera e di direttore del Romanzo Mensile.
In quegli anni, assai significativi per la carriera, Silvio conobbe Antonietta Marra e la sposò, coniugando l’amore per la lettura e la scrittura con il semplice e raccolto mondo familiare. “Il sentimento della famiglia, tenerissimo in lui, trova convergenze e contatti nella sua passione per i libri - commentò Mario Buzzichini - egli stesso radunava talvolta i suoi tre ragazzi e la moglie per leggere loro, spesso traducendo dall’inglese e dal tedesco, questo o quel brano..”.
Indimenticabili per il Villaroel le domeniche trascorse a casa di Silvio: un oggettino, un particolare disseminato qui e là nell’arredamento, donavano all’ambiente un’atmosfera suggestiva che aveva un sapore di Lucania, terra d’origine mai dimenticata. Ed in quel clima, meravigliosamente riposante - ricordò l’amico - Silvio traeva dalla tasca la pipa e gli andava incontro lungo il corridoio “con quel suo giubbone aperto e quel suo sorriso divertito”.


IL CORRIERE DEI PICCOLI UN MESSAGGIO PEDAGOGICO TRA FAVOLE E FUMETTI

“…CIÒ CHE NON PIACE AI GRANDI NON PUÒ PIACERE NEMMENO AI FANCIULLI…”

Dopo aver sposato Antonietta Marra, Silvio si trasferì a Milano nel Villaggio dei giornalisti. Sin dai primi anni trascorsi nella grande metropoli approfondì lo studio delle lingue straniere, inglese, tedesco e francese, mentre cresceva il suo interesse per la letteratura infantile, ricettacolo di tenerezze e di messaggi pedagogici di grande spessore.
Nutrito nello spirito dai nuovi studi e sensibilizzato alle esigenze dei giovanissimi, maturò l’idea di un giornale ad essi rivolto, Il Corriere dei Piccoli. Il successo fu immediato: il numero delle copie vendute, ben novecentomila alla settimana, superò di gran lunga qualsiasi aspettativa.
Silvio si addentrò con trasporto nel mondo dell’infanzia, una dimensione estremamente delicata, fatta di messaggi ed di insegnamenti pedagogici magistralmente annidati nella sfera ludica e favolistica.Spiegando cosa si intende per letteratura infantile Olindo Giacobbe commenta: “…Il fanciullo ha una sua sensibilità, che gli permette di guardare le cose ed il mondo con gli occhi di un uomo: di un piccolo uomo che è fatto di sentimento e di pensiero…Non c’è un’arte per fanciullo, c’è un’arte dei fanciulli. Chi scrive per
l’infanzia ha da essere un fanciullo, un fanciullo come il De Amicis, un fanciullo come il Pascoli…”.
Lo stesso Silvio era solito ripetere: “Il ragazzo non è come comunemente si crede, un uomo menomato, ma un uomo intero, come i grandi, con la sua speciale personalità, con i suoi gusti già formati, e soprattutto con la sua dignità già matura, sì che guai a trattarlo sottogamba o come uno sciocco…ciò che non piace ai grandi non può piacere nemmeno ai fanciulli…”.
Il “Direttore” attento osservatore, adulto capace di calarsi nel mondo dei fanciulli, intuì il ruolo fondamentale delle illustrazioni in una rivista rivolta ai ragazzi: le immagini, più di qualsiasi espediente pedagogico, sono capaci di incuriosire i giovanissimi lettori e di penetrarli in profondità, offrendo un messaggio che spesso da simbolico diventa concetto acquisito.
Forte di tale intuizione, corredò la rivista di fumetti, in origine realizzati come una sorta di nuvolette che, uscendo dalle labbra del personaggio, contenevano le battute del dialogo riportate in stampatello.
In seguito, insieme a Renato Simoni, il celebre Turno, colse l’inadeguatezza dei fumetti, incapaci di stimolare l’immaginazione del lettore, e sostituì le “nuvolette” con brevi didascalie in rima, certamente più efficaci, ma di gran lunga più difficili da realizzare. Il paziente lavoro di inventare versetti quanto più possibile “sciolti”, capaci di fissarsi nella memoria per una brillante “trovata” ironica, premiarono con il successo il Direttore ed i suoi validi collaboratori.
Romanzi a puntate, racconti e rubriche elevarono il valore della rivista a cui collaborarono i più grandi illustratori dell’epoca: Antonio Rubino, Attilio Mussino, Sergio Tofano, Carlo Bisi…ed alcune firme illustri della letteratura: Dino Buzzati, Guido Gozzano, Grazia Deledda, Elsa Morante, Olga Visentini, Giana Anguissola…
Lo Spaventa Filippi aveva escogitato una formula vincente per il suo “Corrierino”, rivista assai seguita anche dopo la sua morte, forte di un valore intrinseco a cui non avrebbero potuto nuocere nemmeno gli scossoni storico-politici del primo quarantennio del nuovo secolo.
Il grande Federico Fellini così si espresse a proposito del giornalino milanese: “Il Corriere dei Piccoli,  le castagne arrosto, le fave dei monti, l’arrivo delle cugine di Forlì che restavano anche a dormire tre giorni a casa nostra, queste erano le gioie della vita”.
Antonio Gramsci, già adulto, durante la sua detenzione, si faceva recapitare con regolarità il Corrierino. “Il martedì compro il Corriere dei Piccoli che mi diverte”. Lo stesso Italo Calvino “leggeva” il Corrierino prima ancora di saper leggere.
Per questa sua creatura lo Spaventa Filippi lavorò instancabilmente sino agli ultimi anni della sua vita, finché una lunga malattia non lo spense il 21 ottobre del 1931.

L’UMORISTA ED IL PENSATORE “MELANCONICO”: UN SOLO PERSONAGGIO
“…POTEVA VERAMENTE SCRIVERE COME PARLAVA, CON SINCERITÀ, CON CALORE, CON INTI-
MA COMMOZIONE…”
Delle virtù di Silvio Spaventa Filippi come letterato e come traduttore scrissero molti. Ma quanti lo conobbero e lo frequentarono ebbero modo di apprezzare al di là della singolare verve umoristica, una delicatezza di sentimenti fatta di profonde meditazioni, a tratti dolorosamente malinconiche: “Che vale l’ingegno, il sacrificio di una vita laboriosa, il dolore, il martirio, se dopo un momento solo tutto sarà cancellato in sempiterno, e sotto la terra smossa non fremeranno più i cuori, e dormirà incosciente come la materia, l’uomo di ieri, l’uomo che piangeva e rideva e pensava?” (da Intorno a se stesso, cap. I vivi e i morti).
Il Notari sulla Finanza d’Italia commentò: “ In realtà Silvio Spaventa Filippi è stato il più grande educatore dell’infanzia italiana. Nessuno può misurare l’influenza esercitata sull’anima, sulla mente, sul cuore delle nuove generazioni dal suo giornale policromo…Silvio Spaventa era egli medesimo lo spirito del bene”.
Fernando Palazzi del lucano “dalla penna d’oro” ammirò profondamente la capacità di appassionare i lettori, far ridere e meditare:”…Tutti coloro che si sono imbattuti nei suoi romanzi, di una bellezza sana, composta, consistente, li rileggono ancora con gusto, il che vuol dire, meglio d’ogni elocuzione di critici, che possiedono il dono tanto raro di divertire e di piacere…perché egli poteva veramente scrivere come parlava, con sincerità, con calore, con intima commozione…”.
Dino Provenzal, suo affezionato amico, lo ricordò come abile traduttore dal latino, dal francese, dall’inglese e dal tedesco, acerrimo nemico di tutti quei cavilli filologici per i quali tanti s’ingozzano di regole, brancolando senza mai veramente impadronirsi a fondo di una lingua.
Tommaso Claps definì la scrittura dell’ammirato conterraneo una fonte quasi inesauribile di diletto, una consolazione per i giorni cattivi, una cordiale e rasserenate compagnia per quelli felici. Silvio, a suo avviso, aveva raggiunto la meta ed il miracolo cui anela ogni artista: trasformare la realtà grezza e cruda in fiore di eterna poesia.


L’indimenticabile “amico dei piccoli”, al di là dell’eccezionale contributo offerto al mondo della “letteratura infantile” ha lasciato ai lettori di oggi e di ieri il dono di una preziosa interiorità, a tratti delicatamente leopardiana: “In questo momento scrivo, e il tramonto sanguigno infiamma le vetrate e i campanili; ma non è questa l’ultima sera concessa agli umani, non segna essa la fine di tutte le creature e di tutte le cose, mentre avvolge in un’ampia e pesante cortina di tenebre? Tornerà a sfavillare il sole domani,  fra l’armonia della vita?” (da Intorno a se stesso, cap. Buoni propositi).

Fonte: Basilicatanet.it

Link documento originale: http://www.consiglio.basilicata.it/conoscerebasilicata/cultura/giornalisti/scheda_SFilippi.pdf


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